Il pensiero del Vescovo Massimo sui percorsi di educazione alla fede degli adolescenti

In occasione della primo incontro della Consulta diocesana di Pastorale giovanile, tenutosi presso l’oratorio don Bosco di Reggio, il Vescovo Massimo ci ha onorato della sua presenza e ha preso parte ai lavori condividendo alcune riflessioni in risposta agli stimoli dati da don Carlo Pagliari. Riportiamo di seguito l’intervento

Don Carlo: Secondo la sua esperienza quali sono le caratteristiche dei ragazzi di 14/19 anni? E quali consigli può darci per accompagnarli alla fede?

 

Vescovo Massimo: Sono contento di vedervi perché per me è sempre molto importante vedere i volti e ascoltare le voci.  Penso che il senso di una consulta sia innanzitutto questo, perché nel vedere il volto dell’altro e nell’essere visto nasce un dialogo, nasce anche una reciproca appartenenza, un interesse reciproco e la possibilità di un cammino assieme.

Come vedo gli adolescenti? Innanzitutto come un’età decisiva. Io penso che oggi assistiamo a un paradosso. Certe scelte sono ritardate, ma le esperienze sono anticipate. La persona fa tardi le scelte esteriori, verso la società, ma le esperienze cognitive e affettive sono anticipate. Esiste un grande squilibrio da questo punto di vista. La persona rischia di bruciarsi molto presto e di rimandare le proprie scelte perché ha la percezione di avere già vissuto, di non avere più energie per fare altro.

Questo è un quadro importante ma esteriore. In tutte le visite pastorali incontro i giovani, gli adolescenti, ma più ancora mi sono utili gli incontri nelle scuole. Quando i presidi o gli insegnanti mi permettono di entrare nelle scuole, è lì che per me l’incontro diventa interessante e decisivo.

Ho visto soprattutto una generazione disorientata ma molto aperta, non è una generazione perduta, chiusa, è una generazione con grande disponibilità che intravvedo in tante domande, in tanti volti, in tanti sguardi.

Quello che mi colpisce è che questo espressione di Dio all’inizio del mondo:’’Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza” questa orma è quasi incancellabile. L’uomo cerca Dio, cerca l’infinito, cerca la felicità, cerca la gioia, cerca l’altro e, se si chiude in se stesso è perché ha avuto molte delusioni e dobbiamo perciò aiutarlo a scoprire che oltre alle delusioni, ci può essere ancora la luce.

Questo è il grido di fiducia e di speranza che voglio dare a voi, anzi è un grido di attesa. C’è un’infinità di adolescenti che vi aspettano, che aspettano Cristo attraverso di voi. Non cedete alle voci del lamento, della delusione, del disfattismo, dell’apocalittica. C’è un mondo di giovani che vi aspetta, perché aspetta Cristo senza saperlo.

Non è vero che questa sia una generazione più difficile, è una generazione che ha le sue particolari difficoltà, ogni generazione ha le sue e quindi bisogna entrare in queste problematiche.

Anche quando vedo le cose più terribili, l’uomo non è mai un mostro, anche nelle forme più terribili di perversione. Tanto meno possiamo dire dei giovani che sono perduti, finiti, lontani, che sono impossibili da raggiungere.

La domanda su di loro deve diventare una domanda su di noi. Che cosa porto loro? Che cosa vivo io? Se non c’è niente di vivo in me, non c’è nessun fuoco da trasmettere.

La generazione dei giovani e degli adolescenti ci interpella sulla vivacità e attualità della nostra fede.

Andate con fiducia verso i ragazzi, infatti la fiducia è il primo passo ed è molto di più che la fiducia nei giovani, è la fiducia in Cristo che parla ai giovani attraverso di voi.

Come io vedo oggi le questioni focali dell’incontro con gli adolescenti.

Ci troviamo di fronte a persone spesso disorientate o chiuse in se stesse per abuso dei social. Chiuse in se stesse anche se formano una comunità di social, è una chiusura moltiplicata al quadrato.

Occorre far scoprire loro un itinerario che continua. I ragazzi sono disorientati perché hanno vissuto molte strade che poi si sono interrotte. Quindi è fondamentale vivere con loro un itinerario che continua. Non c’è niente di pedagogicamente più negativo di far percepire il cristianesimo come una serie di spot facoltativi. Il cristianesimo ha la continuità della vita che a volte è zizzagante, ma la vita ha una sua continuità interiore. La continuità della proposta deriva dall’esperienza di chi guida, infatti se la proposta ha in me continuità, potrà averla anche per gli altri.

Per questo è fondamentale il tema di chi siete voi come soggetto educativo, o che cosa avete da portare, da dire o da vivere assieme. Di fronte a tutte le teorie spontaneiste dell’educazione, io affermo per esperienza che non vi può essere educazione senza una guida. Se le teorie montessoriane o altre di cui si nutre molta storia dell’educazione qui a Reggio hanno un aspetto di verità contro l’autoritarismo, il formalismo, se vogliono essere autentiche non possono cancellare il tema dell’autorità nell’esperienza educativa. L’educazione è una trasmissione, non è un’invenzione sempre da zero. Se questa fosse l’educazione noi saremmo ancora all’età della pietra e del fuoco.

Di fronte a una serie di esperienze finite è importante la continuità di una proposta. Di fronte al rischio vissuto della chiusura in se stesso del gruppo, è importante l’esperienza comunitaria. Non s tratta di fare delle lezionicine sull’io tu o sull’io noi, ma di aiutarli a vivere questo, di aiutare a scoprire che l’io chiuso in se stesso è un io che sta morendo.

Nella vostra opera educative sono fondamentali le due strade di sempre e cioè conoscere e amare.

Cosa vuol dire l’esperienza conoscitiva e l’esperienza affettiva per i ragazzi di oggi?

Darei alcune connotazioni. Per quanto riguarda l’esperienza conoscitiva , a mio parere è fondamentale oggi riportare i ragazzi all’incontro con la realtà fattuale. Esiste un mondo più reale di quello che ti hanno fatto credere che sia la realtà, che è il mondo delle cose, degli altri, il mondo della nostra fragilità, della nostra vulnerabilità.

E’ paradossale, ma si può arrivare a 14-15-16 anni senza un rapporto con la realtà, ma privilegiando rapporti con una realtà fittizia, pensando che la realtà sia Facebook, Istagram o altre cose.

Per questo c’è una pedagogia dell’uso dei social che è molto importante e che non è facile, perché non si può fare la comunità Amish che vive ancora sui carretti, con le fiaccole, ma nello stesso tempo non puoi dire che social è bello, quando vedi una infinità di ragazzi distrutti dai social.

Educare. Compito difficile. Aiutare la persona a scoprire che cos’è la libertà, a scoprire che la libertà non è semplicemente la possibilità di scegliere, ma è la possibilità che abbiamo di scegliere il bene e rifiutare il male. l’altro è il libero arbitrio. Non sono libero perché posso scegliere, sono libero quando scelgo ciò che mi realizza come uomo.

Questo è qualcosa di molto perduto oggi. Eppure anche dentro le esperienze più pazze di libero arbitrio creduto libertà (‘mi distendo sul binario perché tanto mi tirerò via prima che passi il treno’; oppure ‘mi butto dal terzo piano tanto mi salverò’), in realtà c’è una domanda di infinito perché molti ragazzi non sanno cos’è l’infinito e lo cercano disperatamente fino al punto di rischiare la vita per cercare l’infinito.

L’incontro con l’infinito vero è la libertà, non con il falso infinito.

Aiutare i ragazzi nella conoscenza, cioè nell’incontro con la realtà, con la storia. Abbiamo una strada stupenda che è la storia della salvezza; abbiamo la storia degli incontri che Cristo fa con gli uomini.

Poi mi sta molto a cuore la questione affettiva perché è quella che vedo più disperante nei ragazzi. L’uomo non è fatto per la solitudine anche se la scoperta dell’inevitabile solitudine è una scoperta importante nella vita.

Questione affettiva e solitudine sono l’asse portante delle’esperienza dell’umano, perché l’uomo è fatto da Dio per una promessa che non troverà mai risposte sufficienti. Questo è il paradosso della vita.

Giacomo Leopardi, nel Sabato del Villaggio, scrive che noi viviamo continuamente aspettando delle domeniche che poi ci deluderanno.

È chiaro che in lui, non essendoci l’esperienza della fede, non c’era la scoperta che non è soltanto così. Viviamo in attesa di domeniche che ci danno esperienze fondamentali e appaganti, però queste esperienze non sono mai totalmente appaganti. Non c’è niente di più falso di dire alla donna o all’uomo che si ama che sono il proprio tutto. Niente può essere il tutto nella nostra vita, solo Dio.

Scoprire questo e riuscire ad affermarlo con verità è molto importante nella crescita della persona. Non c’è mai un tu adeguato e questa è una delle cause di disfacimento delle famiglie perché si pensa che l’altro sia quello che io desidero. Questo è l’inganno dell’innamoramento che, pur essendo una cosa grandissima,  ma contiene un grande inganno, l’inganno di ogni romanticismo. Non ci sono solo i sentimenti nella vita e oggi purtroppo si vive di sentimenti.

Scoprire che cosa vuol dire che io non posso vivere senza gli altri e senza l’altro; come si stabiliscono dei rapporti; che cosa gli altri e l’altro possono dare alla mia vita; cosa c’entra la sessualità con tutto questo.

Dobbiamo parlare della sessualità perché i ragazzi sono immersi fin sopra i capelli in queste questioni. Con delicatezza, con rapporto con le famiglie, a secondo dell’età, affrontare queste questioni, introdurli in una esperienza positiva, liberante, autentica della sessualità, farli uscire dalla gabbia dei moralismi che pensano che esistono solo i peccato contro il sesto comandamento e farli uscire dalla gabbia della superficialità di chi dice che si può provare tutto.

I romani dicevano che l’esperienza sessuale, se non porta appagamento, porta tristezza.

La questione affettiva non può essere evitata in noi quindi non può esserlo nei nostri ragazzi. Dobbiamo averla affrontata noi, almeno minimamente, per poterla affrontare con loro.

Con i ragazzi delle medie, con molta delicatezza, si può arrivare con facilità a parlare di questi temi perché sono quelli che li tormentano. Il bullismo è una variante di questa questione.

Il bullo è colui che non si sente amato, e non ha altra strada che la violenza per gridare questa cosa, perché un’altra strada non gliel’ha insegnata nessuno.

Riassumendo. Percorsi conoscitivi. Conoscere la realtà attraverso la conoscenza di Cristo. Dobbiamo lasciarci prendere in mano da Cristo per farci portare a incontrare le cose e la vita.

Percorsi affettivi. Aiutare i ragazzi a scoprire come questa esperienza di incontro con le cose e con la vita, guidati da Cristo, ci permette di amare, non senza errori. I ragazzi molte volte sono schifati di se stessi perché hanno un’idea angelica di se stessi e sono schifati perché ritengono di essere dei diavoli. Sono solo dei poveri diavoli come tutti.

Bisogna anche aiutarli a comprendere che l’errore fa parte del cammino; si chiede perdono a Dio e si ricomincia, ci si aiuta reciprocamente.

 

Don Carlo: Se questo è il panorama, quali sono le attenzioni che un educatore deve avere? Vediamo educatori che sono generosissimi, la maggior parte sono adolescenti e quindi ancora in formazione – e questo incide. Che cosa deve sapere un educatore che si prende in mano la vita di un adolescente?

 

Vescovo Massimo: La cosa fondamentale è che l’educatore sia inserito in una comunità. Non è il singolo che educa, ma è la Chiesa che educa. Se uno non è inserito in una comunità prima o poi pensa che il problema sia trasmettere se stesso, le sue idee, i suoi sforzi, i suoi progetti. È inevitabile che tutto passa attraverso questo perché non si può non parlare di ciò che si è vissuto, ma ciò che si è vissuto trova la sua espressione più vera dentro il fatto che si è dentro una comunità. È una comunità che educa, non è mai un singolo. Non è possibile nella singola parrocchia? Vedete se non è possibile nella comunità pastorale o nella comunità di zona.

I ragazzi devono percepire che ciò che trasmettete non sono delle idee, ma delle esperienze che vivete. Se voi li chiamate a vivere una comunità di adolescenti è perché voi, come educatori, vivete una comunità di giovani.

Come si fa a capire cosa vuol dire affettività se non si vive l’affettività? Come si fa a educare una comunità se non si vive una comunità? Se io non vivo una comunità non potrò mai capire chi è l’altro, cosa vuol dire stabilire dei rapporti con l’altro, cosa vuol dire perdonare, cosa vuol dire che Cristo ci chiama a vivere la comunione e la comunione non è semplicemente sapere che tutti siamo una cosa sola, ma vivere questo.

Penso che una comunità viva è quello che ogni mattina si pone la domanda ‘qual è l’attualità di Cristo per me?’ e questa non è una domanda scontata, per nessuno. Se Cristo non è attuale, non è in questo istante la ragione e il contenuto della mia vita, stiamo facendo delle chiacchiere.

La maggior parte dei cristiani non crede che Cristo è risorto, cioè vive come se non fosse risorto, non è solo quello della Palestina. Cristo è quello che è qui adesso, il motivo per cui io parlo con voi. Altrimenti che cosa me ne faccio del Cristo della Palestina?  Che me ne faccio del rapporto fra Gesù e la Maddalena se non mi aiuta adesso a vivere il rapporto con la mia ragazza, con i miei compagni di classe, con mio padre e mia madre?

Altro tema fondamentale è il rapporto con i genitori. Tantissimi ragazzi sono disperati per questo, perché non riescono a vivere un rapporto con i genitori e viceversa.

Se uno non vive una comunità, anche se zoppicante, se il lembo del mantello di Gesù non arriva a coglierlo nella sua quotidianità attraverso il rapporto con altre persone, cosa può trasmettere? Si può trasmettere solo qualcosa che si vive.

È importante l’itinerario di conoscenza e di esperienza di Cristo che va facendo la mia comunità, perché sarà quello il tesoro che avrò da trasmettere agli altri.

[appunti non rivisti dall’Autore]

 

don Carlo Pagliari