Gesù è rimasto 30 anni a Nazareth. Qualcuno dice “a fare niente” in attesa di fare il Messia sul finale.
È la malattia del nostro tempo cercare in modo ossessivo qualcosa di straordinario, di esotico, come se fosse l’eccezione a rendere saporito un quotidiano che invece spaventa per la sua ordinarietà, ripetitività, banalità. Eppure il quotidiano è il nostro presente reale da vivere. È la vita vera.
Gesù ha dunque salvato il mondo proprio abitando l’ordinario di Nazareth, in una vita così semplice e umana da non esserci “nulla da raccontare”. Ha vissuto “da Dio”, ciò che ognuno di noi fugge: affetti, preghiera, domande di senso, lavoro e fatica, malattie e sofferenze, amicizie, scelte su situazioni sociali e politiche, oppure il dolore per la perdita di qualcuno. Ha amato, si è arrabbiato, ha pianto, ha sudato, ha mangiato, ha sistemato casa, si è vestito, ha cantato e sorriso, ha abitato la dimensione del tempo e dello spazio, sentendone i limiti e le risorse, ha fatto festa e ha fatto il lutto.
Nella casa di Nazareth Miriam, Joseph e Jeshua, giorno dopo giorno, danno carne alla Parola di Dio attraverso i gesti quotidiani e una vita vissuta alla luce del sole, davanti a Dio e agli uomini (Lc 2,52).